Ma cos’è esattamente lo stress e come influenza noi e i nostri animali?
Il termine stress venne introdotto all’inizio del ventesimo
secolo da Walter Cannon e letteralmente significa SFORZO. Si potrebbe quindi
trattare di una reazione di allarme che l’organismo attua per reagire ad uno
stimolo esterno. Durante la presenza di agenti stressanti, fu inizialmente
riscontrato che le reazioni biologiche attivate dall’organismo erano le
medesime, indipendentemente dal tipo di stressor: aumento della produzione
dell’ormone cortisolo, maggiore vulnerabilità alle infezioni, comparsa di
ulcere gastriche. Si concluse, grazie al lavoro di Selye, che indipendentemente
dal tipo di stressor e quindi in modo non specifico, si otteneva l’attivazione
di un asse vitale legato a due ghiandole endocrine (ipofisi e surrene), capace
di produrre un complesso di sintomi e modificazioni organiche definite come
SINDROME GENERALE DI ADATTAMENTO. Lo stress quindi è un adattamento
dell’organismo al cambiamento della sua omeostasi interna prodotta da un agente
stressante.
Finchè lo stress rimane in fase iniziale, le risposte
biologiche hanno ruolo adattativo; ad esempio, durante l’acquisizione attiva del cibo e la ricerca del partner sessuale, viene prodotto l’ormone ACTH e vi è
un aumento dei glucocorticoidi, tra cui il cortisolo. Si parla di STRESS POSITIVO.
Quando però gli stressor cambiano (non essendo più
adattativi) e le condizioni esterne permangono fino a trasformare lo stress da ACUTO in CRONICO, si iniziano ad avere ripercussioni a livello fisico e
psicologico: ulcere gastriche,
abbassamento delle difese immunitarie, problemi riproduttivi, perdita di peso,
alterazione dei segnali di comunicazione e delle capacità di memorizzazione. Siamo in presenza di STRESS NEGATIVO.
Quando ci troviamo di fronte a un animale che presenta
problemi a livello gastrointestinale (ulcere, coliche, infiammazioni), a
livello epidermico (psoriasi, dermatiti, micosi), a livello alimentare (anoressia,
bulimia, intolleranze) oppure a livello comportamentale (stereotipie, depressione, ansia), è necessario
interrogarsi sulle cause che conducono al disagio fisico/emotivo e non
semplicemente, come spesso succede, ricorrere ad una terapia farmaceutica, che
blocca il sintomo ma non indaga sull’origine che lo ha provocato.
Adottando un approccio olistico, ci si può
indirizzare verso la PNEI, la psiconeuroendocrinoimmunologia, nuova branchia
della medicina che intende l’individuo non come singoli organi e tessuti indipendenti,
bensì come una macchina incredibile in cui ogni parte collabora al
raggiungimento di un equilibrio. Le terapie che seguono il modello PNEI prevedono non soltanto l'utilizzo di farmaci (naturali e di sintesi), ma guardano anche all'alimentazione, ad attività specifiche antistress e a migliorare la qualità di vita dell'individuo. Negli animali domestici e in quelli in cattività è stato riscontrato che una dieta naturale, un arricchimento ambientale, delle attività ludiche - che stimolino i centri nervosi e permettano la produzione di neurotrasmettitori quali dopamina e serotonina (responsabili del "buonumore") - comportano un aumento del benessere psico-fisico dell'animale.
Kiki, purosangue con un probabile passato di corse alle spalle, e un presente di vita da maneggio e scuola per principianti, soffriva di alopecia da stress, ripetute coliche intestinali e vari disturbi comportamentali.
In seguito ad un programma comportamentale coadiuvato dall'utilizzo di floriterapia, Kiki ha avuto evidenti miglioramenti.
Teddy, lasciato
chiuso in un box senza cibo per diversi giorni consecutivi e per due volte nella sua vita, (pur vivendo adesso nella condizione il più naturale possibile), presenta il tipico ticchio d'appoggio, in cui il cavallo mordendo la staccionata ingoia aria. Le stereotipie insorgono specialmente quando i cavalli vivono isolati e non hanno libertà di movimento: sono uno dei principali indici di stress. Il ticchio in questo cavallo è talmente radicato che è impossibile da curare.
Parlerò più approfonditamente di PNEI. Rispetto al campo medico umano in cui inizia a diffondersi, in ambito veterinario è ancora praticamente sconosciuta.
Sono convinta sia un passaggio obbligato se desideriamo condividere le nostre vite bipedi con quelle a quattro zampe!
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