lunedì 11 novembre 2013

Neuroni Specchio:

una via di connessione all'altro


Rispecchiarsi.
I neuroni specchio sono cellule motorie che si attivano non solamente quando compiamo un'azione, ma anche quando vediamo qualcun altro compiere quell'azione, già scritta nel repertorio della nostra conoscenza, poichè già compiuta da noi in passato.
Immedesimarsi.
Il meccanismo con cui operano i neuroni specchio è empatico e automatico, perché nel vedere l'altro compiere un'azione creiamo dentro di noi l'idea di quell'azione e le motivazioni che l'hanno spinta.
Entrare in empatia.
I neuroni specchio non solo si attivano quando guardiamo un'azione ma anche quando nell'altro vediamo un'emozione o un sentimento.



I neuroni specchio si sono evoluti nella socialità per la comprensione dello scopo dell’azione, cioè delle intenzioni dell’altro. Più la società in cui vive l’individuo è complessa, più la possibilità di comprendere le intenzioni degli altri diventa una caratteristica favorevole e quindi presenta un vantaggio evolutivo.

Riflettere l'altro serve ad entrare in sintonia, a condividere un momento, un'emozione.
Imitando il volto dell'altro si riescono a capire le emozioni, ci si immedesima.

Con la conoscenza di questi meccanismi, è possibile veramente aprire una via verso la compassione intesa come 'sentire insieme', provare le medesime cose, entrare in un flusso di legame con l'altro.




sabato 19 ottobre 2013

I sensi degli ANIMA li

I SENSI SONO LE CINQUE PORTE PER CONNETTERSI ALL'ANIMA.

E gli animali sanno esattamente come fare.

Ascoltare
Toccare
Gustare
Annusare
Guardare


ORECCHIE.
I suoni, i rumori, le voci, il silenzio penetrano, si fanno spazio all'interno, scavano la memoria, ritmano il presente.




PELLE.
Sento con i polpastrelli, con gli zoccoli, con la pelle, i peli, le vibrisse. Con tutta la superficie del corpo. Donare e accogliere ciò che sono, ciò che è altro da me. Dare e ricevere attraverso la pelle che respira, che porta in superficie ciò che sta in profondità, che assorbe ciò che sta attorno. Esploro e conosco la vita.



BOCCA.
La bocca sa. Riconosce ciò che è buono da ciò che non lo è. La bocca distingue i sapori, nutre il corpo; ma anche l'anima. Mastico lentamente o con avidità in base a come mi sento, a ciò che mi piace. Mi sporco e sono intriso del cibo che mangio. Assaporo, gusto. Mentre mastico divento l'atto stesso del masticare.





NASO.
Annuso a terra, annuso l'aria, le narici hanno una conoscenza che supera il visibile, che riconosce i luoghi, gli individui, che ricorda, che apprende. L'annusare come ascolto. Che comprende tutto.





OCCHI.
Vedo, guardo e poi osservo. Le immagini catturano l'attenzione, permettono l'immaginazione di una realtà che è solo mia. Gioco a immedesimarmi nei tuoi occhi e vedere un altro mondo.
Guardo lontano e poi vicino, di fronte e accanto, nel buio osservo meglio perchè focalizzo, lo sguardo fisso per attirare a me.




Negli occhi c'è il riflesso, l'ombra di una luce che fa risplendere;
la connessione al divino che c'è in ogni essere vivente.





C'è poi il senso di un sentire che va oltre; che non utilizza orecchie, nè pelle, nè naso.
E' un sentire che scavalca i suoni, che penetra il silenzio, che non ha immagini nè sapore.

GLI ANIMALI SENTONO.

E questo noi dobbiamo ancora impararlo.
O forse, riscoprirlo.




martedì 1 ottobre 2013

Unicità


Non esistono metodi applicabili a ogni specie.
Non esiste un metodo valido per tutti i cani, un metodo uguale per tutti i cavalli, un metodo specifico per una specifica specie.

Ogni giorno gli animali mi insegnano che sono diversi, che ognuno è diverso dall'altro, che ognuno è unico e che qualsiasi metodo di addestramento si voglia utilizzare non è applicabile al genere, ma è il singolo che conquista il suo metodo di esercizio e di pratica.

La richiesta fatta a Johanna non potrà mai essere la stessa fatta ad Asia, ad Artù, ad Oona, ad Alan, a Mika o a tutti gli altri cani che mi capita di incontrare...perchè Johanna ha il suo modo di interpretare, di elaborare...e la risposta non potrà che essere diversa per ognuno.

Così se desideriamo una risposta, quella medesima risposta per tutti, dovremo imparare a chiedere ad ognuno in un modo diverso, perchè non esiste domanda senza infinite sfumature che loro non possano percepire. Ognuno con la sua propria personale interpretazione.

giovedì 12 settembre 2013

UN RISVEGLIO correndo nel bosco





Correndo nel bosco, il sentiero sotto i piedi, battuto, di terra.
Qualche radice affiora, come vene su una pelle che respira.
Le foglie ad accarezzarmi braccia e gambe, contatto di clorofilla.
L'aria scorre, asciuga gli occhi, le labbra.
I rumori sono attutiti, ovattati dagli alberi, dall'ossigeno che ci contiene.
Non sento altro se non respiro e passi, affano e rintocchi sul terreno.
Johanna mi precede, corre davanti a me, due vagoni collegati da un guinzaglio lungo, viaggiamo.
I nostri passi sono sei tocchi ritmati, i nostri respiri si affannano insieme.
Guardiamo lo stesso sentiero, diritto davanti a noi.
I miei pensieri sono fermi, tutto è fermo. Noi corriamo in un tempo che non scorre.
Il caldo, l'affanno. Gli occhi fissi sul sentiero.

E come un' esplosione arriva un'immagine, di un tempo trascorso: al galoppo nel bosco, gli alberi sfrecciano accanto e ci sfiorano sella e gambe, io sorrido con il vento in faccia. Quante volte ho galoppato inconsapevolmente?
Sotto di me un animale che prova le stesse sensazioni: mente assente, caldo, affanno. Mi immedesimo. Divento quel cavallo che corre, che mi trasporta, che ha caldo, che si affanna, che non può fermarsi.
Io scelgo, lui no.

Correndo con Johanna, improvvisamente lei si ferma ad annusare l'aria. Il treno si ferma.
In quel momento il bosco torna a vivere. Ascolto e annuso, trovo colori che non avevo visto, ali sbattono. Johanna naso a terra. Ritrovo il senso dell'andare piano. Ritrovo un tempo e uno spazio.

Continuerò a scegliere se correre o rallentare, ma desidero una passeggiata lenta per i cavalli.




lunedì 19 agosto 2013

Buono da Mangiare


Questo mio articolo è apparso sulla rivista d'Arte e Cultura ARTAPP nell'ultimo numero sul tema del Convivio.
Qui trovate la versione integrale dell'articolo.
La convivialità affonda radici profonde che toccano l'uomo e lo legano fortemente all'animale.
"Gli animali annusano, odorano, osservano, leccano, e solo dopo si nutrono."
Buona lettura!


Alimentazione e osservazione etologica: un contatto più profondo con noi stessi, con la società, con il vivere.

L’affrontare un tema quale il Convivio, Cum Vivere, dall’evidente etimologia di vivere insieme, diventa un viaggio attraverso le tappe evolutive della socialità, diventa un parlare dell’interiorità dell’uomo, della sua tradizione culturale, del suo legame a natura e anche della stretta relazione con gli altri animali che con lui condividono il medesimo atto alimentare, punto di incontro e di espressione culturale. La parola propone un’identità tra l’atto del mangiare e quello del vivere. E poiché il cibo è sostanza di vita, ciò che materialmente dà vita, esso si presta ad essere assunto come metafora di esistenza. Cibo e vita assumono quindi un significato inscindibile e si confondono l’uno con l’altro. 

Il rito alimentare è sempre stato un momento di condivisione e di socializzazione: nel convivio c’è trasmissione culturale, ci sono i racconti di generazioni, c’è il desiderio di tramandare, di lasciare un segno, un riconoscimento del sé in chi verrà dopo. Chi può dire di non aver vissuto ore seduto attorno a un tavolo ad ascoltare racconti di nonni, zii, antichi saggi di famiglia?
Negli animali la madre trasmette al piccolo i segreti della caccia, insegna a sperimentare gusti alimentari nuovi, ad evitare quelli tossici. Gli adulti insegnano le relazioni, le regole nel gioco, c’è una trasmissione di comportamenti e segnali di comunicazione sociale fin dai primi giorni di vita.

Le società che ci hanno preceduto hanno vissuto in modo sempre intenso il problema del reperimento del cibo, organizzandosi collettivamente al fine della sopravvivenza. Allo stesso modo gli animali sociali cooperano e cacciano insieme, si organizzano in caste sociali, condividono l’attività di foraggiamento nel gruppo in modo da ridurre i rischi di predazione, si sono evoluti e continuano ad evolvere tramite strategie per una sopravvivenza volta alla comunità di cui sono parte.
Oggi il cibo si è caricato di tanti significati, ha assunto caratteristiche, simboli, valori che trascendono la sua realtà nutritiva: la preminenza, in tanti casi, della ‘circostanza’ in cui avviene il consumo sulla ‘sostanza’ specifica dei cibo. E’ sufficiente pensare a quegli alimenti che non hanno alcun valore nutrizionale ma che hanno assunto nella società simboli afrodisiaci (come il tartufo), o quelli che vengono collegati a stati di calma interiore ma che hanno proprietà eccitanti e quindi contrarie rispetto a quelle desiderate (la così nota pausa caffè). Per non parlare del significato che conferiamo al cibo per gli animali che abbiamo addomesticato: spesso diventa arma di potere, gabbia mentale in cui intrappoliamo l’animale in una relazione condizionata. E purtroppo non solo con i nostri animali, ma anche con i nostri figli, di cui troppo spesso compriamo l’affetto in cambio di una caramella.
Abbiamo ricorrenze che impongono il portare in tavola alimenti prestabiliti, il cappone a Natale, l’agnello a Pasqua, per una semplice abitudine, un retaggio culturale: ma siamo sicuri che non possa essere Natale se non c’è il cappone ripieno? La cultura della carne non nasce da necessità di tipo biologico. E’ un tipico prodotto culturale, con valenze simboliche, che si collega strettamente a riti e festività di tipo religioso. Oggi l’industria della macellazione ha sconvolto il nostro rapporto psicologico e simbolico con l’animale. Le tradizioni sono parte integrante e fondamentale di una cultura, ma quando superano i limiti etici di un vivere in equilibrio con natura - in riferimento agli allevamenti intensivi, all’utilizzo di superficie agricola, con conseguente distruzione di zone forestali volta al foraggiamento di quella che sarà la nostra pietanza, all’esasperato utilizzo di prodotti chimici e di biotecnologie, al consumo di acqua (per avere un chilogrammo di carne si consumano 100.000 litri di acqua, per produrre 1 chilogrammo di soia ne occorrono solo 2.000 litri) - siamo sicuri di non volerne creare di nuove?

Le abitudini alimentari di ogni comunità sono espressione di una cultura e se ci si trasferisce da un paese all'altro è facile che si acquisisca una nuova cultura del cibo. Quando i giovani cercopitechi maschi abbandonano il proprio gruppo d’origine per cercare di accoppiarsi con femmine di un gruppo differente, acquisiscono subito le consuetudini alimentari del nuovo gruppo, anche se sono completamente differenti da quelle di origine. A dimostrare questo importante fenomeno di trasmissione culturale fra primati non umani è una ricerca effettuata da Erica van de Waal, dell'Università di St. Andrew. "La volontà dei maschi immigrati di adottare le consuetudini dei loro nuovi gruppi ci ha sorpreso. Il comportamento di imitazione sia dei piccoli naïve sia dei maschi che migrano rivela la potenza e l'importanza dell'apprendimento sociale in questi primati selvatici, estendendo anche a essi il conformismo che conosciamo così bene negli esseri umani".
Ed è proprio il conformismo, la globalizzazione, questa falsa tendenza e credenza di essere tutti uniti e connessi, che viene utilizzata non per apprendere il nuovo, ma per nascondersi dietro a tendine di asocialità, che ci spinge sempre più a staccarci da una convivialità di ritrovo, di condivisione, di trasmissione. Non esistono più barriere alimentari. Tutti mangiano tutto. Non esiste un ascolto della propria necessità alimentare, di un richiamo ad un cibo che davvero nutre, che davvero sazia. Non esiste più una scelta personale, dove l’animale uomo si spinge alla ricerca del proprio pasto; il cibo è esposto in vetrina, comprato, senza un vero contatto.

Nei primati che utilizzano materia vegetale di prima qualità esiste una selettività del cibo, che permette di sviluppare apprendimento, curiosità, memoria. Come riporta Roberto Marchesini, filosofo ed etologo, “L’alimentazione vegetariana elettiva comporta una selezione naturale sulle capacità intellettive, quindi sullo sviluppo del cervello. Il grande sviluppo del cervello, comune all’uomo e allo scimpanzé, indicano una filogenesi orientata alla ricerca di alimenti vegetali di alta qualità, di alimenti dispersi nel territorio, di una stagionalità che comportasse una precisa idea del tempo”.
Non è che continuando ad alimentarci, servendoci nei supermercati, con cibi impacchettati e preconfezionati, senza odore, con forma a scatola, senza la possibilità di usare tutti i nostri sensi, inizieremo un’involuzione cerebrale? Non è che la selezione naturale ci porterà verso una decrescita sensoriale?

Gli animali annusano, odorano, osservano, leccano, e solo dopo si nutrono. Si fanno un’idea precisa della storia di quello che stanno per mangiare, che sia frutto, insetto, foglia o preda. Cos’è, dov’è, cosa ha mangiato a sua volta, da chi è stato visto e scartato. La società umana ci ha staccati da tutto questo. Non sappiamo più da dove viene il nostro cibo, che cosa ha vissuto quello che abbiamo nel piatto, a quale Regno appartenga (animale, vegetale,…). Spesso quello che finisce nei nostri piatti, che compriamo distrattamente e serviamo sulle nostre tavole, ha un aspetto così lontano da quello che era la sua forma originaria: un mix di ingredienti, di cui non sappiamo l’odore, né la forma d’origine. I bambini non sanno da dove arrivano le verdure, non sanno che maturano sottoterra, come le patate, che crescono aggrappate ai rami, come i pomodori, o ancora che strisciano a contatto con il suolo, come le zucche. Non sanno che la cotoletta era un animale vivo e peloso, con due occhi e una bocca. Il nostro tempo ha come ingrediente segreto comune, senza barriere territoriali, come carburante alimentare, il petrolio. La lista degli ingredienti necessari per creare gli aromi artificiali è pressoché infinita. Gli odori, a cui la memoria è fortemente collegata, sono forse l’arma più potente delle industrie del cibo per fidelizzare i consumatori. Nell’infanzia sono i sapori a lasciare un ricordo indelebile e proprio per questo l’obiettivo più ambito delle catene dei fast food sono i bambini. Oltre all’aroma però, è necessario ricreare una sensazione, una percezione tattile anche all’interno della bocca: per questo oggi si ricorre alla Reologia, una branca della fisica che studia il flusso e la deformazione dei materiali. Esistono “bocche meccaniche” in grado di elaborare dati provenienti da svariate sonde, che misurano le proprietà reologiche di un cibo quali scorrimento, punto di rottura, densità, croccantezza, masticabilità, viscosità, grumosità, gommosità, duttilità, scivolosità, levigatezza, sofficità, umidità succosità, spalmabilità, elasticità e adesività.
Le mamme non sanno cosa si nasconde dentro le merendine con cui fiduciosamente deliziano i propri bambini. Le stesse mamme non sanno che i cosiddetti aromi naturali e i coloranti delle merendine confezionate, della pasticceria, dei gelati, delle bibite, delle caramelle, dello zucchero in generale, sono sottoprodotti del catrame. La mamma si fida. Non sceglie.
Gli alimenti gratificano oltre al palato anche il bisogno di appartenenza, permettono di sentirsi sicuri, parte di un gruppo, omologati a una marca. Si perde il gusto reale dell’alimento, perché l’alimento ha perso la sua naturalità, la sua proprietà intrinseca; tutto è standardizzato, gli imballaggi così come i sapori, i gusti, sia a livello organolettico appunto che a livello nutrizionale. Tutto è uniformato. Non esiste più la stagionalità dell’alimento, come neppure la conoscenza dell’origine di provenienza (non intesa come paese, ma come luogo).
E’ un convivio che unisce tutti ma allontana dalla vera essenza del vivere.
Ci si è allontanati dal gustare veramente e sensorialmente i cibi. Tant’è che sempre più spesso si sente parlare di cene conviviali in cui si fa esperienza nel mangiare con tutti i sensi. Un bene. Ma possibile che siamo costretti a pagare per mangiare ritrovando un contatto profondo con il cibo?

Mangiamo con la bocca. Ma c’è un gusto che inizia negli occhi, che attraversa le narici, che esulta tra le dita per esplodere sulle labbra. Le migliaia di neuroni sparse sui nostri organi di senso al contatto con l’alimento gioiscono. Noi siamo abituati ad ingurgitare, portando alla bocca il cibo con attrezzi metallici che ancora di più ci separano dall’essenza stessa del nutrimento. Siamo stati portati a ricercare il colore di un cibo che sia pulito, igienico, bianco. Sbianchiamo le farine, lo zucchero, la carne. Ricerchiamo il bianco e lo otteniamo sottoponendo gli alimenti a processi depauperanti: gli oligoelementi, i minerali, le proteine, gli enzimi del succo zuccherino scuro di partenza e delle farine si perdono durante la purificazione. E per essere assorbiti rubano al nostro organismo quelle stesse sostanze che crediamo siano loro a fornirci, quali vitamine e sali minerali (calcio e cromo). Allo stesso modo siamo attratti da qualsiasi alimento e bevanda che scintilli, rosso rubino, verde scintillante, giallo fluorescente: i frutti sono lucidati e ricoperti di cere, il tuorlo delle uova più è rosso più crediamo ci nutra, le bibite e i cocktail sono mix paurosi di veleni colorati, le caramelle, i leccalecca, ... In natura sopra a tutti il bianco e il rosso sono i due colori che mettono in allarme gli animali. L'aposematismo è la colorazione di una parte del corpo di un animale ai fini di avvertimento contro possibili predatori.
Gli animali che utilizzano colori aposematici sono tossici o velenosi, oppure hanno semplicemente un sapore sgradevole per le specie che potrebbero utilizzarli come nutrimento. Dai vari funghi del Genere Amanita, ai serpenti corallo, al Dendrobates pumilio, rana velenosa i cui colori sgargianti servono come avvertimento per tutti i predatori: ne identificano infatti l’elevatissima tossicità.
Eppure noi ricerchiamo e ricreiamo questi colori per essere sempre più candidi o splendenti.

L’alimentarsi spinge ad un forte richiamo alla propria interiorità, mette in relazione la saggezza del proprio corpo con l’ansia del nuovo, la prudenza con la curiosità. Gli animali conoscono le proprietà terapeutiche delle erbe selvatiche, si auto curano scegliendo e mangiando le piante adatte. Da uno studio effettuato dal primatologo Michael A. Huffman è stato rilevato che gli scimpanzé si curano da alcune infezioni parassitarie succhiando il succo amaro di Vernonia amigdalina, pianta in genere non appetita da queste scimmie, ma ampiamente utilizzata in Africa per il trattamento delle parassitosi e delle turbe gastrointestinali negli uomini e nel bestiame. E’ noto che i gatti masticano le foglie giovani di certe graminacee come emetico, per spurgare il loro apparato digerente. In India, Ungulati e Primati  ingeriscono la corteccia di Holarrhena antidysenterica a scopo antidissenterico. E da queste ricerche sta nascendo una disciplina specifica, la Zoofarmacognosia, una branca dell' Etologia (studio del comportamento animale) che ha caratteristiche multidisciplinari, essendo implicate la Botanica, la Farmacologia, l' Antropologia, l' Ecologia, la Parassitologia e la Fitochimica, destinata proprio all’osservazione etologica in rapporto alla ricerca farmacologica. Oggi l'uomo sta paradossalmente imparando dagli animali ciò che probabilmente un tempo era perfettamente in grado di fare!
Dagli animali impariamo anche la terapia del digiuno, come detossificazione per eliminare le tossine accumulate con i processi metabolici, una pratica di purificazione del corpo che con la tradizione religiose diviene pratica catartica, per un viaggio profondo nel proprio corpo come tempio dell’anima al fine di un rinnovamento e una rinascita spirituale.

Mi chiedo se sia veramente possibile una rivoluzione devolutiva, che ci permetta, osservando animali e natura, a tornare ad avere un contatto più intimo con il nostro vivere il cibo e il vivere insieme.
Movimenti quali Slow Food, Slow Movement ci fanno ben sperare… ma forse la rivoluzione dovrebbe affondare radici ancora più profonde.

Il convivio è momento di coesione, il gruppo è vivo, i commensali - dal termine latino cum mensal che, tradotto, rimanda ad una "condivisione della tavola/della mensa", in origine in riferimento alla condivisione dello stesso cibo tra animali di specie differenti, dopo che i predatori avevano concluso il loro pasto raccontano: c’è un vociare animato, un’emozione interiore che fa scaldare le posate di chi le tiene, le parole volano, gli animi divorano.
Il convivio può essere anche momento di unione, il gruppo è in scambio dialogico, esiste grande connessione tra coloro che siedono:  c’è una fitta rete che li lega, tra di loro e con il cibo che mangiano, che lentamente portano alla bocca, nel silenzio, ascoltando il lento masticare di se stessi e degli altri.
Chi volontariamente sceglie di fare esperienza di un pasto nel silenzio, in un silenzio non forzato, magari condiviso? Forse è proprio in quell’atto che sta il vero convivio, il significato profondo della parola, il vivere insieme, il fare esperienza insieme, l’ascoltare se stessi e l’altro. Nel silenzio e nell’ascolto.

E dagli animali proprio questo imparo ogni giorno. L’essere presenti. L’esserci senza esserci. L’immagine della mia gatta, Tippy, che viveva in giardino, libera di andare e venire come e quando desiderava, ed ogni sera, già sazia dalla sua cena, si sedeva sul davanzale della finestra della cucina e condivideva la nostra cena. Silenziosa e presente.


giovedì 13 giugno 2013

Incontri speciali:

UN'ESPERIENZA DI RELAZIONE CANE-CAVALLO-UOMO


Durante una camminata in montagna insieme a Johanna, un amico e la sua amstaff di un anno e mezzo Asia, abbiamo avuto un incontro molto speciale ed è nata la possibilità di fare un'esperienza relazionale molto intensa.

Asia non aveva mai visto un cavallo prima.
Permettendo libertà di espressione e di comunicazione, lasciando fluire e direzionando le dinamiche è stato possibile un contatto, un punto di incontro.

La curiosità nasce nel profondo ed è specchio dell'altro.
La calma si raggiunge entrando sulla stessa vibrazione dell'altro.

La cavalla è stata incredibilmente in ascolto e centrata per tutto il tempo, aiutando Asia ad abbassare il suo stato emotivo.
Soltanto sul finale l'agitazione di Asia e l'arrivo della bicicletta l'hanno fatta allontanare...ma è comunque esperienza!




Anche grazie alla relazione con animali di specie diverse è possibile aiutarli ad acquisire competenze, migliorare l'autocontrollo e la fiducia, espandere il loro mondo di esperienze e permettere al nostro rapporto, nostro inteso come uomo-animale, di potenziarsi ed evolvere.


venerdì 10 maggio 2013

Vive più a lungo una Tartaruga o un Moscerino?


Questo mio articolo è apparso sulla rivista d'Arte e Cultura ARTAPP nell'ultimo numero sul tema della Luce, con riferimento al numero precedente che aveva come tema appunto il Tempo
Arte è musica, design, architettura, fotografia, scrittura..ed anche Natura. 
E forse proprio nella Natura, l'Arte trova il proprio riferimento e la propria ispirazione.
Buona Lettura!

La percezione del tempo negli animali non umani

Esistono luoghi dove il tempo che scorre non ci appartiene. Sono i luoghi in cui non esistiamo. Possono essere luoghi lontani come i giardini umidi e fioriti della campagna inglese, le foreste tropicali dell’America centrale, i piccoli market ordinati nel cuore di Tokio; oppure possono essere luoghi del pensiero, stanze dei ricordi, lo spazio oltre la porta di casa. In ognuno di questi luoghi esiste un altro tempo, il tempo che non viviamo, il tempo che non ci appartiene.

E voi, vi siete mai interrogati riguardo al tempo degli altri?
Vi siete mai chiesti come gli altri lo percepiscono?
Noi, animali umani, abbiamo una percezione del tempo se non simile, perlomeno condivisibile. Il giorno è giorno, la notte è notte; c’è un tempo per mangiare, uno per dormire, a volte e spesso un tempo organizzato, scandito da attività. Il tempo definito dalla cultura, dalle abitudini, dalla socialità.
Ma se spostiamo il nostro punto di vista, se proviamo ad immedesimarci in altre forme di vita come gli animali non umani, gli alberi , i coralli, i funghi, i licheni, qual è la loro percezione del tempo? Esiste in loro un’idea di scorrere, mutare, evolvere?
Così ha inizio la mia ricerca sulla percezione del tempo negli animali.

Il tempo di Piero avviene in una stanza, è circoscritto al trespolo su cui sta appollaiato. Quello è il suo spazio. E quello spazio racchiude anche il suo tempo. Lo scorrere è immobile. Piero è un pappagallo dell’Amazzonia, vive su quello stesso trespolo da oltre vent’anni. Mangia quando gli altri mangiano, dorme quando la luce è spenta. Quello che accade fuori dalla stanza non esiste. Il suo presente è condiviso da chi abita la stanza, da chi la attraversa ed esce, dalla radio che trasmette opere liriche, dai mobili di legno. Piero osserva tutto, vede tutto, condivide la sua fame, il suo piacere, le sue maschili antipatie. Piero è vivo e presente nel tempo che lui stesso vive. E chissà, nella stanza dei suoi pensieri, quali immagini del tempo si formano.
Le ghiandaie sono piccoli uccelli della famiglia dei Corvidi. Hanno corpo grigio-marrone con striature azzurre. Trascorrono il presente accumulando ghiande, che posizionano in luoghi speciali, segreti a chiunque. Possono ricordare fino a centinaia di nascondigli. Il futuro delle ghiandaie è l’inverno freddo, la ricerca di quei tesori, la fame placata. Nel loro presente esiste un’idea di futuro, un accumulare ghiande come risorsa vitale; e in quel futuro esiste un’idea di passato, un ricordo, mappa mentale dei numerosi tesori. Questi uccelli incredibili non si limitano a questo, ma possono proiettare il loro presente nel futuro, conoscendo le esigenze che probabilmente avranno: sazie di un certo tipo di cibo, prevedono il loro desideri e organizzano le scorte scegliendo cibi diversi e nascondendoli in base alla deperibilità degli stessi.
Ci sono animali che vivono due tempi, quello prima e quello dopo la metamorfosi. Il bruco convive con la sua situazione terrestre, scorre sul terreno, si nutre delle foglie, della linfa verde che le costituisce. Poi il tempo si ferma, il suo bozzolo lo racchiude. E quindi ricomincia, nell’aria: la farfalla si nutre del nettare dei fiori, impollina, da vita a nuova vita. Il bruco e la farfalla sono un unico individuo che, nei due tempi che vive, si trasforma.
Ci sono poi animali che vivono tre tempi: il salmone nasce nei fiumi, in un tempo di acqua dolce; quindi migra nel mare, dove vive per molti anni, conoscendo un tempo di acqua salata. Al momento della riproduzione ritorna nello stesso fiume dove è nato e qui muore dopo aver deposto e fertilizzato le uova. Il terzo tempo.
Ci sono animali che vivono nell’arco della vita un tempo femminile e uno maschile: nascono maschi e poi si trasformano in femmine, oppure al contrario, prima femmine e poi maschi, invertendo il sesso. Sono alcuni pesci e invertebrati.
Gli alberi hanno il proprio tempo disegnato nel tronco, nei cerchi concentrici che circondano i loro fasci vitali, xilema e floema. Uno porta acqua, l’altro nutrienti. Crediamo che gli alberi vivano un tempo immobile, limitato alla lunghezza delle loro fronde. Essi però nascondono connessioni intricate, grovigli di interazioni nel sottosuolo. Si parlano e creano sinergie straordinarie, simbiosi mutualistiche tra specie differenti, concorrono attraverso la secrezione di sostanze tossiche ad una lotta per occupare il territorio. Ci sono alberi che hanno un tempo di secoli, crescono lenti e forti, vedono il bosco proliferare, morire, germogliare di nuovo. Sono le querce, gli olivi, le piante secolari. E poi ci sono alberi leggeri, le betulle, che crescono veloci, in pochi anni, fusti sottili, esposti al vento. Essi si parlano, le loro radici si toccano, comunicano a chilometri di distanza. Il tempo che vivono è diffuso, espanso, viaggia alla velocità della clorofilla.
E poi c’è il tempo degli animali notturni, i cacciatori delle tenebre, mammiferi che si sono specializzati nella ricezione di stimoli particolari. Il loro risveglio è il tramonto: sono i pipistrelli, che lanciano il loro suono volante attraverso lo spazio, nel tempo infinitesimale, che si scontra e come boomerang riporta la conoscenza del mondo circostante. E insieme a loro vive tutto il gruppo dei mammiferi notturni, attivi di notte, nascosti di giorno, sconosciuti a noi che ci rintaniamo alle prime luci crepuscolari.
Ci sono i  predatori, che hanno il tempo immobile dell’attesa che la preda commetta un passo falso e il tempo fulmineo della corsa, fatto di riflessi, bloccato nello slancio stesso dell’attimo per la sopravvivenza.  
C’è il tempo del letargo, il tempo dell’inverno, quando gli animali abbassano le funzioni vitali e si ritirano; quando gli alberi le interrompono completamente e si addormentano. E’ un tempo freddo, un tempo fermo.
E chi si è mai chiesto del tempo che vivono gli animali nelle gabbie, negli allevamenti intensivi, dei cavalli chiusi nei box, dei cani e dei topi da laboratorio? Il loro è il tempo vuoto della solitudine, della mancanza, del bisogno inesaudito. E’ il tempo del ricordo, che si trasforma in stereotipia per sopperire alla necessità di colmare quell’assenza.
La maggior parte dei mammiferi sociali costruisce legami duraturi con i membri del proprio gruppo, ha memoria dei singoli individui all’interno del branco, si riconosce a distanza di anni; esiste in questi animali, dagli elefanti ai delfini, dagli scimpanzé ai coyote e in molti altri, la consapevolezza del tempo che scorre, di un passato che è stato, di un futuro che verrà, di sentimenti temporali, come la nostalgia e la speranza.
Gli animali hanno tempi scanditi dalle necessità, dai bisogni primordiali, dalle sensazioni che percepiscono, dalle emozioni di cui sono fatti ogni ora, ogni istante, tutto quello di cui noi ci dimentichiamo, perché non abbiamo tempo, perché scappiamo dalla nostra consapevolezza, perché ce ne dimentichiamo e lasciamo che il tempo dell’ascolto si perda e si dimentichi.
E infine mi chiedo: secondo la loro prospettiva, vive più a lungo una tartaruga o un moscerino?



domenica 7 aprile 2013

Da EMOTIVITA' verso EQUILIBRIO EMOZIONALE: una trasformazione profonda


Assumendo come tesi certa che gli animali provano emozioni, vorrei inoltrarmi più a fondo in questo spazio, per scoprire come emotività ed emozioni vengano vissute e in che modo noi possiamo favorire l’ESPRESSIVITA' EMOZIONALE dei nostri animali e renderci consapevoli dell'importanza del ruolo che ricopre in relazione ai loro PROCESSI COGNITIVI e RELAZIONALI.

lunedì 25 marzo 2013

Il Join up è vera Empatia?

JOIN UP. Riunirsi. Ricongiungersi.

Cosa si nasconde dietro questa parole?
Qual è il loro vero e più profondo significato?

mercoledì 6 marzo 2013

Sensazioni animali






Sentiero chiaro controluce
e la figura a quattro zampe, pelosa, bionda,
si staglia nel riflesso.
Ho camminato a due mani due ginocchia nel sottobosco,
le spine tra i capelli,
ansimando,
l’affanno nel petto, nelle orecchie.
Non era importante la terra, la polvere attaccata,
non c’era più preoccupazione umana di pulizia.
Ero pulita nel sentire un corpo peloso e caldo sulle guance,
due narici aspirarmi la faccia a riconoscermi,
sentire con tutte le antenne che vita c’è ovunque.
Ed è vera.




mercoledì 20 febbraio 2013

Storia di Comunicazione e Segnali Calmanti

Oggi voglio raccontarvi una nuova storia.
Racconta di incontri, di comunicazione, di sguardi, di segnali animali.
Buona Lettura e Visione!

mercoledì 13 febbraio 2013

Cavalli dimenticati


Li guardiamo dietro sbarre fredde, girare in tondo, infinito ricordo.
Ci offendiamo.
Animati ostacoliamo circhi, baracconi, divertimenti da domeniche pomeriggio.
Accumuliamo firme contro pellicce, gabbie, uccisioni.
A volte li liberiamo.
Restituiamo libertà, riconnessione, rispetto.

E poi
guardo i cavalli dimenticati nei box.
Vedo bambine pettinare criniere, code tagliate da protocollo, paramenti rosa.
Lustrati, osannati, vincitori.
Coccarde come trofeo di pazienza.
Un giorno alla settimana.

“Domani lo prendo, lo tiro fuori dal box, lo pulisco, lo monto e lo metto via”

Non trovo gabbie ma pareti su quattro lati.
Lo spazio per girare in tondo a volte non c’è.

Ci guardano.
Aspettano che le nostre richieste siano esaurite.
Il loro dovere terminato.
Ce ne andiamo, contenti di aver saltato grosso.
Arrabbiati per non esserci riusciti.

Loro fermi, chiusi, soli.

Aspettano.


martedì 29 gennaio 2013

Percezioni animali


immedesimarsi
ascoltare
avvicinarsi
entrare in profondità
sperimentare nuovi sensi



lunedì 21 gennaio 2013

Un viaggio alla scoperta di luoghi animali

No, non aspettatevi che vi conduca verso strade fatte di un ingenuo antropomorfismo: una zampa non è una mano, e il muso non sarà mai una faccia. E' qualcos'altro...un altro modo di imparare cosa sia la vita, di sperimentarla, di percorrerla, di farla crescere e di renderle omaggio.